mercoledì 4 maggio 2011

Perché andiamo a vedere la corrida





Bellezza, Profondità, Mistero: di queste tre colonne portanti dello Spirito, la corrida de toros rappresenta un culmine.

Avevo quindici anni, quando, a Madrid, andai alla mia prima corrida; ricordo vividamente quali furono le mie reazioni di allora: provavo una sorta di ebbrezza, mi sentivo la mente leggera e, al contempo, troppo piena; ero conscio di avere assistito a qualche cosa di unico, di inimmaginabile, non uno spettacolo umano, ma una visione trascendente. In nessun modo il sangue, la morte mi impressionarono; semplicemente, ciò che avevo visto li spiegava, li rendeva necessari.
Io credo di essere nato per essere un aficionado. Però, come succede, le cose andarono diversamente... Vidi altre tre corride durante gli anni dell'università. Poi il lavoro, la famiglia, le figlie piccole,altri interessi e amicizie... per farla breve, sono rimasto trent'anni (!) lontano dalla Spagna e dalle plazas de toros. Ma ora ritorniamo alla colonne portanti.

Bellezza.

Tutto nella corrida è maestosa bellezza, tutti i suoi elementi sono vertici di estetica, attingono alla fonte del sublime. Il toro, le sue esplosioni di forza, la sua bravura, i suoi muscoli, le corna tremende; il torero, il traje de luces, la cuadrilla, i cavalli bardati dei picadores; le luci della sera estiva, l'atmosfera della fiesta fuori della plaza; il pubblico stesso, quando è numeroso, entusiasta e competente. E' il sublime che penetra l'anima. E poi ci sono le azioni della lidia. In questo mondo contemporaneo, la corrida è rimasta l'unica attività umana che ha come fine precipuo la creazione della bellezza. L'arte vi ha da tempo rinunciato. “Oggi l'arte più è brutta e più è preziosa” recita la saggia battuta presa dal grazioso film Fuori Orario. Come descrivere quanto è bello un passo? La potenza della carica del toro, la suprema eleganza del movimento della muleta o del capote, i due corpi, dell'uomo e dell'animale selvaggio, che, per un lungo istante che sembra dilatarsi nel tempo, formano un’unica massa plastica. Un poeta spagnolo sostiene che l'opera del torero è poesia: il singolo pase è il verso isolato, cristallo di pura bellezza, la ligazon è la strofa, che dà senso e armonia ai versi, la faena l'intero componimento. E che dire di una peculiarità estetica che si ritrova unicamente nella corrida: la sua fotogenia. Le fotografie dei passi sono sempre stupende, e danno una precisa misura della classe di un torero. Ciò non succede in alcun'altra forma artistica; si possono forse giudicare violinisti o pittori dalle loro immagini mentre suonano o dipingono?

Profondità.

Il sentimento della profondità è forse ciò che maggiormente penetra nell'anima, partecipando al rito della corrida. In essa si ritrovano le qualità più profonde e più nobili dell'essere umano, il coraggio, l'onore, il desiderio e addirittura l'ansia di creare qualcosa di bello e di grande, a costo di sopportare il dolore e di sfidare la morte, la generosità nell'offrire agli altri, al pubblico, i frutti della sua arte. Quale altro artista, oltre al torero, rischia la vita per la sua opera? Dinnanzi all'uomo si aprono gli abissi feroci della Natura, rappresentati dalla belva che vuole uccidere, indistintamente, tutti gli esseri che incontra sul suo cammino, sempre, sino agli ultimi istanti del combattimento, che difatti sono i più pericolosi per il matador. Persino i gesti, gli atteggiamenti del torero, quello che si può definire l'esibizionismo dell'uomo, la toreria, il desplante, hanno un significato profondo, forse collegato alla gioia di essere ancora vivo, oppure ad altro, ancor più celato. Uno dei grandi obiettivi della corrida è la verdad, che ci riconduce al sublime, ove si trova la chiave della profondità della lidia: sublime matematico, dinamico e, soprattutto, estetico.

Mistero.

Sono innumerevoli le facce del mistero della corrida, ma, indubbiamente, il suo nucleo sta nella sorte del toro. Tutti amano il toro, stupendo, potente, coraggioso, violento, lo amano di un amore che risale ai primordi dell'umanità. Lo ama il pubblico, lo ama persino il torero, benché la belva compia ogni sforzo per ucciderlo. Eppure, malgrado il terrore che ispira, tutti lo amano. Si comprende, fra l'altro, dalla gioia del pubblico quando ottiene, sempre più spesso negli ultimi anni, l'indulto per un animale particolarmente nobile, forte e coraggioso. E allora, perché il toro deve morire? Soprattutto, perché la corrida perde ogni significato profondo, perde la verdad, senza la morte del toro? Perché? Tale è il mistero della lidia. Il filosofo Francis Wolff, nel suo splendido libro Filosofia della Corrida cerca di spiegarlo; i suoi argomenti sono brillanti, fondati su una cultura vasta, solida e profonda. Eppure... nessuna spiegazione ci può convincere razionalmente che questo animale meraviglioso deve morire. La verdad ce lo suggerisce, come una musica spirituale. E' il Mistero.


Paolo Zanardo


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)


2 commenti:

Anonimo ha detto...

I tori che vengono indultati negli ultimi anni sono tutto meno che forti, nobili e coraggiosi, vengono indultati perchè sono talmente addomesticati da permettere al torero una "faena perfetta" secondo il gusto del des-toreo moderno. Vengono indultati come "premio alla faena" e non per la loro bravura, perchè non la si può vedere dove veramente la si misura, nel "tercio de varas".

Chi chiede questi indulti non ama il toro, vuole solo far "trionfare" il torero, che oltre tutto così non deve "entrar a matar" con il rischio conseguente, e magari perdere i trofei.

Saluti.

Marco

chicco ha detto...

Bravo, TFA !